Più Gasp che Conte

Roberto Beccantini11 gennaio 2020

Alla fine della giostra – possesso o non possesso, contropiede o non contropiede, capelliani o contigiani – tante coccole alla Dea e un cero, l’ennesimo, a quel santo di Handanovic. Il rigore parato a Muriel proprio agli sgoccioli, dopo che, nel primo tempo, Rocchi, e il Var Irrati ne avevano negato uno a Toloi che avrebbe comportato persino il rosso di Martinez, è stato l’ultimo botto di un’ordalia aspra, splendidamente british nella trama e nei cozzi. Con l’Inter padrona dell’avvio, subito in gol (rasoiata di Lau-Toro su tocco di Lukaku) e vicino al raddoppio; e con l’Atalanta padrona di quasi tutto il resto. Non che tirassero molto, il Papu e la «nonna» (Ilicic), ma erano ovunque.

L’Inter è stata in partita finché Lukaku ha permesso che ogni palla lunga fosse uno schema e Lau-Toro ha lottato come un ossesso. La staffetta tra Zapata (ancora in rodaggio) e Malinovskyi (gran palo) ha contribuito a intensificare l’assedio. Non che le occasioni crepitassero come pallottole, tutt’altro, ma il pari di Gosens (in anticipo secco, da rapinatore puro, su Candreva) sembrò lì per lì un atto di giustizia. In campo, da un pezzo, c’era solo l’Atalanta. E senza Samir, la spallata di Bastoni a Malinovskyi, miccia del penalty, avrebbe dato fuoco alla classifica, non solo al risultato.

E’ un fatto che il gioco di Conte rende più in trasferta che in casa, come documentano, Atalanta a parte, la sconfitta con la Juventus e i pareggi con Parma e Roma. A San Siro, il popolo gradisce che si occupi il centro del ring. E se di fronte hai un «dentista» come Gasp, uno dei rari allenatori che fabbricano squadre, conquistarlo diventa un’impresa.

Due parole, in chiusura, sulla decima della Lazio. Il Napoli stava conducendo ai punti quando Ospina – dopo Di Lorenzo, Meret e Manolas – ha spalancato la porta a Immobile. Tu chiamali, se vuoi, episodi.

Le tartine

Roberto Beccantini6 gennaio 2020

La Juventus dell’ultimo Allegri chiuse a Natale o poco dopo. Sotto Natale, la Juventus del primo Sarri aveva preso un paio di memorabili sberle dalla Lazio, in campionato e in Supercoppa. Ecco perché il 4-0 al Cagliari – squadra sorpresa, al netto delle due sconfitte che ne avevano rigato il ruolino – non va preso per oro colato, ma neppure ridotto a mera formalità.

Per 70 minuti abbondanti, diconsi 70, la Juventus ha giocato nella metà campo degli avversari. Poi ha mollato qualche metro, come persino il Barcellona del Pep ogni tanto faceva, riuscendo comunque a salvare la «verginità» di Szczesny. Con un po’ di fortuna (traversa di Simeone sull’1-0, incrocio di Joao Pedro agli sgoccioli), ma con molti meriti: quelli, soprattutto, di Demiral, quasi a uomo su Joao Padro, e di una fase difensiva non più abbandonata alla riffa dei cross o dei pick and roll.

La Juventus ha raccolto nella ripresa i frutti del pressing e di un possesso palla fin lì camomilla (ma incessante) seminati nel primo tempo. C’era Ramsey trequartista, insomma; c’era Rabiot, segni di vita; c’era Dybala che zigzagava fra un ingorgo e l’altro; c’era Cuadrado sprintante; c’era Cristiano in stato (molto) interessante. E i problemi, allora? L’area un po’ vuota, a disposizione di incursori un po’ vaghi, e zero tiri. Poi, disturbato da Dybala, Klavan ha commesso un errore, il primo degli orfani di Pisacane e Ceppitelli, la dorsale di Maran, e Cristiano l’ha scartato goloso. Poi rigore di Rog su Dybala, ancora Cristiano. Poi Higuain, dalla panchina. Poi di nuovo il marziano, su invito di un Douglas Costa eccitato dai tappeti srotolati.

Figuratevi la sorpresa del vecchio Primario, fermo a una mezza palla-gol dell’Omarino (svirgolata, per giunta) e a una traversa di Demiral. Come passare dai brusii di un’omelia al frastuono di una discoteca. O dalle sardine alle tartine. Naturalmente, sono gradite conferme.

La forza dei nove

Roberto Beccantini5 gennaio 2020

I dettagli non sono sentenze. Sono coriandoli, al massimo indizi. Fra Brescia-Lazio 1-2 e Roma-Toro 0-2 hanno segnato soltanto centravanti azzurri, ex come Mario Balotelli o non ex come Ciro Immobile (rigore e gol) e Andrea Belotti (palo, gol, traversa, rigore). Il mio podio: Belotti 8, Balotelli e Immobile 7 (a fronte, quest’ultimo, di un contributo a pelo di sufficienza).

Non meritava di vincere, la Lazio. Le mancavano Luis Alberto e Lucas Leiva, Inzaghino aveva optato per l’arrivano i nostri (Immobile più Caicedo più Correa più Milinkovic-Savic), il rosso a Cistana gli aveva spianato la strada: ha brindato agli sgoccioli, come ha imparato a fare, di puri singoli e di purissimo episodio. E così sono nove: nove successi consecutivi. Migliore in campo, per distacco, Sandro Tonali: appunti di regia e spunti verticali. Beccato dalla solita marmaglia (laziale, questa volta), Balo ha imprigionato i nervi e liberato un senso di disciplina sul quale non molti avrebbero giurato.

Date a Mazzarri una partita da poter vivere all’opposizione, e non al governo, e avrete il botto capitale. Le parate di Sirigu – molte, alcune delle quali preziose – non possono e non devono oscurare l’onnipotenza di Belotti e la caccia, non sistematica ma apprezzabile, a contropiede non banali. La Roma è stata confusa persino in Pellegrini, la sua bussola. oltre che in Dzeko, Zaniolo e Perotti sotto porta.

Mani-comio all’Olimpico (Izzo a rischio di secondo giallo, sbracciata di Smalling) con Di Bello sempre piazzato e non sempre deciso, tanto che nel caso dal penalty l’hanno richiamato dal Var. E manicomio, senza trattino, a Marassi in Genoa-Sassuolo. Tuffo di Sanabria ai piedi di Obiang, rigore; pancia-braccio di Djuricic, gol annullato; fallo di Criscito su Berardi a monte del 2-1 di Pandev, gol convalidato. Peggiore in campo, Irrati.